Il soggetto traumatizzato impiega invece molto più tempo a ‘liberarsi’ dell’energia emotiva accumulata e tende a non percepire la propria reazione come disregolata, ‘non me’. Tende cioè a ritenere il proprio comportamento come ‘pensato’, sicchè se gli si fa notare l’incongruenza tende a non accettare quella che recepisce come una critica o un’offesa.
In questo secondo caso occorre aiutare il paziente ad accorgersi dei propri ‘momenti’ di dissociazione al fine d’imparare ad automonitorarli ed aiutarlo a costruire delle risposte più equilibrate e funzionali. E’ quanto si tende a fare quando si utilizza la tecnica psicoterapica chiamata D.B.T. dialogic behavioral terapy ideata dalla dott.sa Linehan.
Quando rileviamo nel nostro paziente la presenza di una sindrome dissociativa su base traumatica, quella che io chiamo un’organizzazione di personalità multipolare (per es. borderline) o un disturbo di personalità, prima di accettare un paziente dobbiamo chiederci se siamo formati di buona parte delle tecniche che in questi casi occorre conoscere e saper usare. Le principali sono, in ordine di preferenza fra quelle che uso: l’IFS o sistemi familiari interni messa a punto da Richard Schwartz, la schema therapy (Jeffrey Young), la terapia degli stati dell’Io (Robin Shapiro), la terapia focalizzata sulle emozioni EFT (Leslie Greenberg), la terapia sensomotoria (Pat Ogden), la somatic experiencing (Peter Levine), la terapia dialettico-comportamentale DBT (Marsha Linehan), l’ipnosi ericksoniana (Milton Erickson), la programmazione neuro-linguistica PNL (Bandler e Grinder), la terapia focusing (Eugene Gendlin), la terapia focalizzata sul transfert TFP (Otto Kernberg).
Ovviamente esistono anche altri approcci nel campo della psicotraumatologia, ma ritengo quelli appena citati i più validi e validati (le cosiddette terapie evidence based) dalle esperienze in letteratura