Credo che occorreranno ulteriori studi per chiarire un tratto di personalità così complesso da diventare in alcuni soggetti un disturbo di personalità vero e proprio. Che differenza c’è tra un tratto o uno ‘stile di personalità’ piuttosto che un ‘disturbo di personalità’? Lo stile di personalità è la tendenza verso atteggiamenti o comportamenti caratterizzati da inclinazioni o disposizioni che tuttavia si realizzano in taluni contesti e non in altri e non sempre, in ogni caso non in modo rigido. Il disturbo di personalità è una distorsione nel modo di pensare e di relazionarsi agli altri che si manifesta ogni qualvolta ci si sente di doversi difendere o prendere una posizione che contraddistingua la propria personalità ai propri occhi o a livello sociale.
Le due ipotesi sono sicuramente entrambe suggestive e molto diverse, e in linea di principio potrebbero al limite anche coesistere. Supponiamo genitori che danno per es. un’importanza spropositata ai propri figli a livello intellettivo pensandoli (come loro?) superiori agli altri per capacità di performance, pur incapaci di fornire un adeguato sostegno emotivo nonché cure affettive che rintraccino i reali bisogni del bambino. Oppure che li pensino capaci di precoce autonomizzazione (e ciò può far comodo allo scopo di gestire più facilmente la propria vita o le proprie occupazioni) pur divenendo più distratti e meno partecipi, e per questo le cure perdono di efficacia, specie se il figlio/i si rassegnano ad essere poco ‘visti’ e finiscono per negare anche a se stessi qualsiasi sofferenza per il senso di separatezza o scarsa vicinanza che avvertono.
In ogni caso, la conseguenza spesso è la stessa: il senso del proprio ME viene scossa. Cos’è il ME? E’ l’incontro tra il senso di noi stessi, del proprio SE’ e l’edificazione (solo in parte voluta e consapevole) di una percezione del proprio IO simile a come vorremmo essere, vederci ed essere visti. Se il senso del sé è poco piacevole la MENTE tende a mentire al proprio padrone, l’individuo, regalandogli una narrazione del proprio io che vada a compensare il proprio senso d’inadeguatezza percepito. Si controbilancia così una barca che rischierebbe di farci sentire dentro di noi poca autostima, poco stimati o stimabili dagli altri. Talvolta tali percezioni sono transitorie o passeggere, ma a volte giorno dopo giorno si cristallizzano in convinzioni di noi tanto fallaci quanto potenti e difficili da cambiare. Accorgersene può abbassare il tono dell’umore (fino a stati simil o francamente depressivi) o portarci a stati d’ansia anche in vista di situazioni relativamente tranquille. A volte la mente invece di inviarci segnali inopportuni ci ‘rincuora’ cercando di convincerci del contrario. Inizia così una vita rivolta a narrarci quanto siamo in gamba, capaci, migliori degli altri o semplicemente superlativi, così da nascondere e annullare qualsiasi possibilità di poterci sentire a disagio, inferiori agli altri o alle nostre aspettative.