LO SPIRITO DEL BENE E DEL MALE

Gen 03

 

Cosa differenzia la tendenza costruttiva o distruttiva nel singolo soggetto?

Lo spirito. Ma cos’è lo spirito? E cos’è lo spirito del bene o del male?

Pare una domanda capziosa oppure morale, spirituale.

Banale è che lo spirito è quanto di più immateriale si possa pensare.

Lo spirito è quanto ti anima. Ma cos’è l’Anima? ...

L’Anima è ciò che dà vita, prima, e vitalità dopo.

E’ quella forza motivazionale che fornisce la causa, il motivo appunto, e a livello biologico la forza molecolare e poi neuro-muscolare per realizzare una certa categoria di atti, volti a costruire qualcosa di buono o di distruttivo.

Cosa s’intende per ‘qualcosa di buono’? Qualcosa che possa essere riconosciuto migliorativo per se stessi e per qualcun altro a cui si rivolge, con cui o con il quale si mette in relazione.

Cosa s’intende per ‘distruttivo’? Qualcosa che pone fine alla serenità, al senso di sicurezza, a desideri, proponimenti o sensi di piacere e piacevolezza, propri di sè stessi in relazione ad altri.

Quando lo ‘spirito’ di costruzione o di distruzione entra o si fa strada nel nostro Sé, si avvia il motivo e la motivazione per progettare l’idea ed il comportamento rivolto ad uno scopo, che in entrambi i casi possa gratificarci.

Ma cosa fa sì che dentro la nostra psiche prima, nella nostra mente dopo, e nel nostro corpo infine, si possa generare, elaborare, sviluppare e infine concretizzare nei comportamenti il soffio di vita o di morte che ci porta a mandare in ‘emissione di frequenza’ intorno a noi il verbo del momento, la parola, l’atteggiamento, il comportamento che avvolga il proprio sé a quello di un altro o di altre persone?

L’Anima, il ‘soffio vitale’ che prende vita o ‘corpo’ dentro di noi è la reazione attraverso la quale ci prendiamo ri-vincita, ri-valsa per quanto abbiamo percepito intorno a noi o da qualche parte nel mondo.

Le notizie delle guerre che ci gravitano ormai intorno (essendo cittadini europei), il continuo ingresso di cronache di genocidi, di suicidi (specialmente da parte di adolescenti) di omicidi di donne (femminicidi) da parte di uomini aggressivi e violenti, di razzismi, sono i primi esempi che vengono a prestito per dire che l’equilibrio e la stabilità sono momenti di prospettiva serena da cui l’uomo cerca spesso di evadere. Perché questo paradosso? Evadere poichè spesso in realtà li vive non come momenti di serenità quanto di noia, di apatia, abulia, intervalli di vuoto in una vita che dev’essere sempre in movimento, in cerca di qualcosa. La ricerca passa attraverso differenze che disegniamo tra noi stessi e l’Altro; l’opposto della ricerca di alterità, in cui proprio il dialogo, la sintonia, l’accordo, l’armonia con l’altro ci dicono che va tutto bene, che stiamo bene, orientati verso il viaggio nella direzione della nostra vita.

Il confronto con l’Altro è rivolto a cogliere le differenze; spesso tuttavia tale concezione ci porta in ‘direzione opposta e contraria’ per dirla alla De Andrè, rispetto al bene, rivolta a farci sentire o stare bene. Sentirci bene non significa necessariamente progredire nella propria vita o negli spazi della vita collettiva, ma a sentire che rispetto all’altro (una o più persone, una o più situazioni) siamo meglio ‘piazzati’, valiamo di più, siamo di più. Le persone che fra le altre si sentono più povere di spirito, parlo dei narcisisti, inseguono quasi costantemente il reperimento di queste sensazioni per così dire ‘relazionali’, obbedendo a delle sensazioni interne che sentono come negative, di debolezza, inutilità, indegnità. Sensazioni talmente disturbanti da indurli ad ‘esiliarle’ e a coprirle con delle sovrastrutture di falsa positività personale. Tali sovrastrutture perseguono sensazioni opposte ed apposte, di valore individuale (e non personale, poiché la persona possiede valori di base ineludibili), forza e potere relazionale e sociale (per esempio di condizionare la vita di altri) tali da controvertire nel loro sentire le sensazioni primigenie di autosvalutazione e senso di pochezza o vaghezza personale che li farebbero stare male.

Al senso depressivo si sostituisce quello di un’ansia di riconoscimento individuale e sociale che soverchi ogni possibile percezione interna negativa. E’ una dinamica che vi rivede bene anche nei disturbi dell’umore in senso bipolare, come una base per innalzare se stessi abbassando al contempo il livello di apprezzamento e apprezzabilità intorno a noi; da qui a volte  si parte per vedere il mondo con occhi diversi, realizzando se stessi nel confronto vincente con gli altri, confronto che si vince anche se l’altro non sta meglio di noi, oppure sta peggio di noi.  Mentre l’altro arranca sembra così che noi stiamo viaggiando a gonfie vele.

Ma da cosa derivano le sensazioni negative dentro noi stessi? Da ricordi appunto negativi, da situazioni capitateci che ci hanno fatto soffrire, da traumi piombatici addosso dai quali non siamo riusciti ad uscire. Cerchiamo allora una rivalsa, un modo per non sentirci più schiacciati o schiacciabili inabissando il dolore o rivolgendolo verso gli altri, soprattutto quelli più deboli di noi che non possono o non potranno reagire.

Il flusso vitale diviene flusso d’invidia, di sopraffazione, di differenza tra ‘noi’ e ‘loro’ dipinto attraverso qualsiasi vessillo, sia di etnia, di colore della pelle, di riuscita sociale, di possibilità economiche, di genere, o qualsiasi altro distinguo (fosse il tifo per la squadra che vince un trofeo, guarda caso i tifosi più numerosi scelgono le squadre più vincenti, fosse anche a dispetto delle regole).

L’anima si gonfia di motivazione al riscatto e al senso di affermazione individuale, in cui se lavoro tanto sarà il compagno o compagna a sacrificare tempo e carriera per i figli, oppure rimbalzando l’onere sui nonni.

Il riscatto e l’affermazione o sopraffazione sull’altro diventano i portabandiera della propria grandezza.

 

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